Iose Olampi – Partigiano Lulù
Brigata Sap Clelia Corradini
Distaccamento Santino Marcenaro S. Ermete
Nato il 11/5/1926 a Vado Ligure, dopo la Liberazione è stato testimone della Resistenza con i giovani che frequentava nella società di S.Ermete, di cui è stato una colonna portante.
Ci ha lasciato nel 2022, a 95 anni.
Testimonianza di Jose Olampi da “Partigiani metropolitani”
Ho lavorato come tornitore alla Brown Boveri sino a 18 anni quando avrei dovuto presentarmi alle autorità perché richiamato alle armi, dopo mi diedi alla macchia.
Intanto nella fabbrica senza più commesse gli operai rimasti, circa settanta, producevano il sale facendo evaporare l’acqua del mare. Uno di loro andava nel milanese per ricevere le ordinazioni e al ritorno presentava la nota spese dove regolarmente c’era la voce: Perché l’uomo non è di legno al quale seguiva la cifra corrisposta a una signora di quelle che allora erano chiamate case chiuse. Questo tipo era sfegatato sostenitore degli Americani, veniva preso in giro, ma lui continuava a difenderli e lo fece anche quando gli bombardarono la casa.
Io e quelli della mia leva stavamo ben nascosti, la notte si andava a dormire in una camera di scoppio in una cava che c’era sopra S.Ermete (Vado L. SV). Era costituita da un cunicolo con al fondo un ambiente in cui stavamo stretti nelle coperte in sette o otto; sentivamo qualche scricchiolio ma non ci facevamo caso. Dopo aver cambiato rifugio, più comodi in una casa isolata, tornammo a recuperare le coperte, ma non c’era più niente: tutto crollato.
Con i Partigiani di montagna abbiamo subito collaborato sino a organizzare un nostro gruppo (S.A.P.). Una delle prime azioni è stata fatta dietro la chiesa di Vado, siamo entrati nella fabbrica Monteponi per recuperare diverso materiale tra cui le cinghie di cuoio utilizzate come trasmissioni per le macchine. Le usò il calzolaio partigiano Bonifacino per fare le suole degli scarponi che si usavano nelle trasferte. Durante l’azione alla Monteponi il più giovane tra noi venne preso dalle convulsioni, non riusciva più a respirare per la tensione e dovemmo riaccompagnarlo a casa. Alla Brown Boveri andammo una notte con un autocarro convinti di fare il pieno invece trovammo solo due sacchi di patate e quattro scatole di melassa, un dolcificante usato quando mancava lo zucchero.
Succedeva poi di dover cercare una ragazza che se la spassava con i tedeschi per darle una lezione e non trovandola incrociare un fascista isolato in bicicletta. Appena il tempo di prenderlo di mira, ma proprio sulla linea di tiro, si stagliavano quattro persone sedute su un parapetto, così dovemmo soprassedere, passato l’attimo buono, quell’altro si butta sui pedali e spingendo come un forsennato la fa franca.
Si rischiava la vita abbastanza spesso, come la volta che andammo a fare una requisizione a casa del Prefetto repubblichino, residente a Bergeggi. Rientrati carichi alle due di notte evitammo per un soffio una squadraccia di San Marco che, favoriti dalle tenebre, s’erano intrufolati sin sulla piazza del paese. Un’altra volta un piccolo gruppo partigiano scese a Quiliano per prelevare del tabacco. Fatta la commissione, si fermò sotto un ponte per controllare il materiale, dopo poco sopraggiunse un gruppo di soldati fascisti. Sarebbe bastato un piccolo rumore o uno sguardo verso il basso per provocare uno scontro da una posizione sfavorevole. Un’altra volta durante un rastrellamento improvviso alcuni resistenti scapparono da una passerella sul fiume e svoltando dietro un masso scontrarono un nemico di guardia proprio lì. O la sorpresa o perché era un patriota infiltrato non sparò nemmeno un colpo.
Come Partigiani avevamo anche una buona disciplina comprese le punizioni in caso di disobbedienza. Un giorno ritrovammo il nostro comandante legato all’albero della piazza del paese, non so più per quale motivo. Se avessimo mancato di rispetto ad a una donna saremmo stati fucilati.
Gli ultimi giorni di guerra, ricevetti l’ordine di accompagnare un prigioniero sopra Vezzi, presso un reparto partigiano. All’osteria che rimaneva sotto la strada di quel paese incontrammo Cesarin de Vue che insistette per farci mangiare una pastasciutta e non potemmo rifiutarci. Mentre siamo lì arriva un Partigiano di ritorno all’accampamento con una scorta di sapone saltata fuori in vista della Liberazione. Quando vide il mio prigioniero voleva saltargli addosso mentre l’altro sgattaiolava tra i tavoli: si vede che era proprio conosciuto!!! L’ultimo trasferimento l’abbiamo fatto per i sentieri sino ad Osiglia, in ventidue tra cui due guide. Dovevamo recuperare un lancio aereo degli Alleati, avevano paracadutato diverso materiale e vestiti decenti per scendere nei paesi della costa alla Liberazione un po’ meno stracciati. Ci abbiamo messo tre giorni tra l’andata ed il ritorno comprese le notti passate in qualche stalla con le mucche. Sentivamo che era finita anche se ci sarebbero state ancora vittime.
Nei boschi incontravamo singoli militari repubblichini fuggiti dal fronte, armati di tutto punto. Li prendevamo in consegna, ma quelli pretendevano di tenersi le armi nel caso di uno scontro con i tedeschi. Un Partigiano gli disse: “Senti io ho fatto tutta la Resistenza con il solo schioppo almeno ora mi spettano mitra, munizioni e bombe a mano” e se le fece consegnare.