La figlia ci parla di Francesco
Vernazza Francesco nasce il 30 maggio 1922 a Vado Ligure. La sua famiglia, contadina e benestante, è antifascista già dal 1922.
Francesco ha sedici anni e mezzo quando la madre viene ricoverata in ospedale per un malore e non prontamente soccorsa, muore il 16 gennaio 1939 di peritonite; il padre sconvolto, disperato e sempre più convinto che la precoce morte dell’amata moglie abbia fra le cause la sua convinta fede antifascista, muore letteralmente di crepacuore il 26 febbraio 1939.
In quaranta giorni a causa delle disumane leggi fasciste e degli ignobili comportamenti dei suoi rappresentanti Francesco perde la madre, il padre e la custodia della sorellina di tre anni Mariarosa, data in affido a parenti, la casa depredata di ogni bene dai “curatori dell’eredità” (resteranno una catenina d’oro e due federe ricamate), l’accesso al conto in banca (dopo il 25 aprile 1945 il valore dei sudati risparmi dei genitori, oramai svuotati, sono appena sufficienti per comprare un vestito per sé e per il fratello Augusto e un abitino per la prima Comunione di Mariarosa) persino il cavallino bianco, che i genitori gli avevano regalato al compimento dei sedici anni è requisito: il povero animale destinato a operazioni belliche in Africa muore nel naufragio della nave che lo trasportava.
A febbraio 1941 Francesco è arruolato, nonostante il diritto all’esonero in quanto orfano e unico sostegno del fratello Augusto di anni 16 e del vecchio zio inabile. L’8 settembre 1943 scappa dalla caserma di Arma di Taggia con altri renitenti e attraverso i monti liguri dopo alcuni giorni raggiunge le alture della Valle. Dorme una sola notte in casa: è già ricercato.
Con il fratello Augusto (nato nel 1925, nome di battaglia Tom) e con altri giovani partecipa dal primo ottobre alle prime riunioni clandestine che daranno vita alle formazioni SAP, Squadre d’Azione Patriottiche, gruppi che hanno il compito di recuperare, con sfrontata audacia e sprezzo del pericolo, dalle caserme e dai presidi fascisti e tedeschi, armi, munizioni e altri rifornimenti necessari alla vita in montagna.
Francesco nome di battaglia Fulvio, partecipa con coraggio alle azioni di guerra con il distaccamento che porta il nome di Luigi Caroli, uno fra i primi caduti per la libertà. Nel 1944 il distaccamento si fonde con altri cinque per la formazione della brigata dedicata a Clelia Corradini, madre e martire; nel comando ha il ruolo di vicecommissario di brigata.
Tutta la sua vita è segnata dai tragici eventi: i torti subiti, le miserie patite, la fame, il freddo, la perdita di tanti compagni di lotta, fra tutti Pietro Sacco suo fraterno amico; a ogni ricorrenza (quante in un anno!) i suoi occhi si riempiono di silenziose lacrime. Racconta poco di sé, è uso dire: “le cose brutte della guerra devono venire via con me “.
Nel 1967 gli viene concessa la croce al merito di guerra in seguito ad attività partigiana. Un uomo straordinario, stimato dai compagni di lotta e di lavoro, è esempio di sobrietà, di onestà, d’integrità morale, di solidarietà e di coerenza con i suoi ideali, resistente sempre. Muore a gennaio del 1994, per dieci anni una grave malattia lo tiene infermo e legato alla bombola di ossigeno. Non sono anni inutili e di sola sofferenza: la visita quotidiana da parte di amici, compagni di lotta e di lavoro, parenti e a volte anche di sconosciuti gli restituisce la solidarietà e l’amore che ha seminato.
Tutto questo è stato Francesco “Fulvio” Vernazza.